Eugenia Galli (Rimini, 1996) è operatrice culturale, performer e poeta facente parte di Zoopalco, collettivo che ricerca e produce nell’ambito della poesia performativa e multimediale. Laureata in lettere con lode all’Università di Bologna con la tesi Materiali per un’edizione critica della Ballata di Rudi, uno studio d’archivio sulle varianti dell’opera di Elio Pagliarani, si occupa di formazione, curatela di eventi, comunicazione. Suoi sono i testi e la voce della Monosportiva (ex Monosportiva Galli Dal Pan), progetto di spoken music con tre EP all’attivo: Corpo Contraffatto (2019), C4MG1RL (2022), progetto che ha anche una sua declinazione video, e Atlantide/Siccità (2023). Ha co-tradotto l’antologia Poesie per ragazze di grazia e di fuoco, edita da Rizzoli nel 2018.
Buondì Eugenia, benvenuta. Il tuo percorso tra parola, performance e curatela si è fatto man mano più ramificato nel corso degli anni: al momento in quali direzioni ti stai volgendo – sia per conto tuo che assieme al resto di Zoopalco?
Chi si occupa di arte in Italia – di poesia, di musica, di teatro – spesso non può dedicarsi soltanto alla produzione artistica. Quasi tuttə lə artistə che conosco affiancano alla propria attività creativa una qualche altra forma di lavoro culturale: sono organizzatorə di eventi, formatorə, espertə di comunicazione, tecnichə del suono. Sottrarsi a queste logiche di sostenibilità è quasi impossibile quando a dettarle sono i criteri delle linee di finanziamento pubbliche. Alcunə artistə devono farsi operatorə culturali per necessità; io no, lo faccio per inclinazione. Per necessità lavoro alla reception di una palestra e se vuoi posso illustrarti tutti gli sconti sugli abbonamenti trimestrali, semestrali e annuali. Abbiamo anche la sauna! Quando non sono dietro al desk o sotto al bilanciere, mi occupo felicemente di poesia, musica e performance insieme a tre realtà collettive: Zoopalco, associazione ed etichetta discografica (ZPL) che opera nell’ambito della poesia performativa e multimediale; DAS APS, l’ente che gestisce il centro di ricerca e produzione artistica DAS – Dispositivo Arti Sperimentali a Bologna; Disturbat! Altr!, il collettivo che cura il Premio Alberto Dubito di poesia con musica. Con ZPL stiamo producendo alcune nuove opere in forma di spettacolo e audiodramma: ANSE di Mezzopalco, la formazione di sole voci di cui abbiamo pubblicato IMPRE nel 2022, e RADIO TUNNEL di ETEREA NOISE, il duo formato dall’autrice e attrice Eugenia Delbue e dalla cantautrice e musicista Caterina Dufì (aka Vipera). Come DAS curiamo collettivamente COLLAGENE, programma di residenze artistiche e rassegna multidisciplinare dedicata ai linguaggi del contemporaneo (performance, musica, videoarte, installazioni, poesia, arte visiva) a cui si accede tramite una call pubblica, in uscita in questi giorni. È appena uscito invece il bando della nuova edizione del Premio Dubito. Per fortuna qualcunə a volte mi ricorda che sono una performer anch’io: siamo attualmente in residenza con Ave Medea, progetto della Diade (regia di Federica Amatuccio, sound design di Andrea Gianessi, in scena Emiliano Albor Boscato ed io) tratto da Riva abbandonata/Materiale per Medea/Paesaggio con Argonauti di Heiner Müller. Si tratta di un’opera che abita contesti teatrali ma vive all’intersezione tra poesia (il verso di Müller), voce e paesaggio sonoro. Dopo due prime aperture in forma di studio (Biennale di Venezia 2024, Bando College Registi Under 35; Teatro Herberia di Rubiera/La Corte Ospitale), presenteremo il lavoro in anteprima al perAspera festival (Bologna) il 9-10 ottobre 2025.
Sempre riguardo Zoopalco, tu sei tra le persone che questa realtà l’han fatta nascere e tuttora la coltivano: com’è nata? Man mano che gli anni sono passati, quali sono stati per te i punti salienti della vostra crescita come collettivo?
Zoopalco nasce una decina d’anni fa come collettivo eterogeneo di poetə performer: ci siamo conosciutə a fine 2015 in occasione di un poetry slam organizzato da Nicolò Gugliuzza allo Spazio Indue di Bologna. Venivamo tuttə da ambiti diversi (l’hip-hop, la poesia lirica, l’arte partecipativa, la musica), ma avevamo il desiderio comune di condividere versi, sperimentare con la voce, metterci in risonanza. La nostra prima base operativa è stato l’atelier di Fantomars in via Fondazza; qui è nato anche il nome Zoopalco, che forse (spoiler) al decimo anniversario del collettivo si trasformerà in qualcos’altro. Per i primi anni di attività abbiamo organizzato poetry slam e serate di microfono aperto con ospiti provenienti dall’ambiente dello slam (Marc Kelly Smith, Alessandro Burbank, Marko Miladinovic, Sergio Garau, Dome Bulfaro, Matteo Di Genova, il collettivo Fumofonico, il collettivo Mitilanti), della spoken music e non solo. Abbiamo attraversato molti locali bolognesi, soprattutto legati alla musica, fino all’approdo temporaneo a uno spazio nostro, quando nel 2017 abbiamo vinto insieme ad altre realtà culturali il bando comunale che ha portato alla nascita di DAS – Dispositivo Arti Sperimentali. A questo bando avevamo partecipato insieme a TSD – Teatro dei Servi Disobbedienti (oggi Diade), la compagnia con cui organizzavamo Poverarte – Festival di tutte le arti. In un’ottica già multidisciplinare il festival era nato da un’associazione di ambito audiovisivo, Humareels, per mettere in dialogo cinema, musica, arti performative, arti visive e poesia; come Zoopalco curavamo la sezione Poesia Orale del festival. Il 2017 è stato un anno cruciale, come testimonia questo video iconico con cui lanciavamo il bando per videopoesie Poverarte Web Slam. Io, Riccardo e Toi avevamo vent’anni, ma in qualche modo avevamo già le idee chiare e stavamo preparando il terreno per gli anni successivi del collettivo. Il vincitore, per cui avevamo in palio un tour nazionale grazie alla rete di spazi e collettivi legati alla LIPS, è stato Matteo di Genova [piccolo momento filologico: nella videopoesia con cui Matteo aveva partecipato si sente il primo nucleo testuale che avrebbe generato Nutro Nubi]. Così nasce DIXIT, il primo spettacolo in versi prodotto da Zoopalco, accompagnato – anziché da un libro – da un cartello di uscita di sicurezza con un QR Code per ascoltare i testi in forma orale. Oggi sembra un prodotto scontato, ma otto anni fa era una novità. È stato Matteo a suggerirci, negli anni successivi, di lavorare sulle produzioni interne al collettivo. Dopo una lunga gestazione parallela, nel 2022 abbiamo fondato l’etichetta discografica ZPL facendo uscire tre diversi lavori: IMPRE di Mezzopalco, C4MG1RL della Monosportiva, Urla dal Confine di Osso Sacro. Nel frattempo la composizione del collettivo è cambiata: insieme a me, Riccardo Iachini e Toi Giordani, oggi fanno parte di Zoopalco Vittorio Zollo, Gabriele Stera e Alessandro Minnucci. Al momento l’etichetta si muove su due direttrici: col progetto Orbita produciamo dischi originali (l’ultimo uscito è ESRD del trio torinese Drip Fortuna), mentre col progetto Vocifera lavoriamo alla messa in voce e all’elettrificazione – secondo pratiche di arrangiamento, sound-design e performance – di alcune opere del Novecento. Dopo aver lavorato sul Tiresia di Giuliano Mesa, sulla Ragazza Carla di Elio Pagliarani e su Non sempre ricordano di Patrizia Vicinelli, siamo attualmente in fase di studio dell’opera di Luigi Di Ruscio.
Nonostante tu abbia attraversato lungamente l’universo dello slam italiano, in questi ultimi anni la direzione della tua ricerca ha virato altrove. Qual è la tua percezione attuale di questa scena? Cosa ti ha dato, negli anni in cui l’hai vissuta più attivamente?
Non frequento a sufficienza la scena attuale per giudicarla, e avvicinandomi pericolosamente ai trent’anni ho giurato a me stessa di non assumere mai un atteggiamento passatista. Ho conosciuto lo slam durante gli ultimi anni di liceo a Rimini; se questo incontro non fosse mai avvenuto, non avrei partecipato a quella serata allo Spazio Indue in cui ho visto per la prima volta Riccardo e Toi. Non sarebbe mai esistito il collettivo Zoopalco così com’è. Non avrei viaggiato instancabilmente per anni stringendo alcuni legami profondi e costruendo una rete di contatti per far circuitare le produzioni nostre e altrui. Non avrei avuto palchi e pubblici con cui misurarmi ogni weekend. Smettere di partecipare ai poetry slam non è stata una decisione improvvisa: anche negli anni in cui frequentavo attivamente la scena assumevo spesso una posizione critica nei confronti tanto del format quanto del lavoro associativo della LIPS, che pur avendo il merito di aver messo in contatto le diverse realtà territoriali legate al poetry slam non si è mai dotata di una struttura in grado di sostenerle. I limiti imposti dal format – tre minuti, niente musica, niente oggetti di scena – sono interessanti e aprono diverse possibilità di sperimentazione, ma ne precludono altre. La dimensione competitiva, se presa sul serio (cosa che lo spirito dello slam scoraggerebbe), genera una serie di rischi che un tempo venivano individuati nella tendenza alla stand up comedy o a un declamato sopra le righe, oggi si annidano forse in una deriva statunitense uniformante di prevalenza del messaggio, espresso in forma di cantilena, sulla ricerca linguistica. Le cose più interessanti che accadevano nella scena slam di dieci anni fa sono uscite da quel contesto per approdare in maniera convincente ad altro, strutturandosi in forme spettacolari, discografiche o tipografiche. Non escludo che possa accadere lo stesso a chi sta frequentando oggi quella palestra/laboratorio.
Tu sei la voce e la penna del progetto di spoken word music Monosportiva (ex Monosportiva Galli Dal Pan) col quale tra le altre cose hai esplorato, soprattutto nei due EP Corpo Contraffatto e C4MG1RL, diverse prospettive sulla dualità apparenza esterna/vissuto interno – dicotomia che nella pratica performativa è ineludibile. Come vivi sotto questa lente il tuo performare? In che modo sono nati i concept che attraversano i due sopracitati EP?
Ho sempre vissuto molto goffamente la presenza fisica del mio corpo sul palco e non mi sono mai cimentata in una ricerca sul movimento in scena. Il corpo nei miei lavori appare più come tema da esplorare attraverso la parola e la voce che come dato materiale. Un corpo a cui si allude e che non si mostra mai: quello della Gilda atleta di Corpo Contraffatto, quello della Chiara sex worker di C4MG1RL e mai quello di Eugenia performer, anche se in fondo io (Ginny) sono tutte e tre queste persone. Per tanti anni ho desiderato essere solo voce – che pure è corpo vibrante –, ora cerco delle vie per non essere solo l’involucro che la trasporta. Entrambi gli EP nascono dalle storie di persone a me care, inevitabilmente intrecciate con la mia, e sviluppano una ricerca su gerghi molto precisi. Corpo Contraffatto parla la lingua della palestra, un codice che attinge a conoscenze basilari (e spesso travisate) di biomeccanica, a strategie di marketing utili per vendere abbonamenti e a massime motivazionali, e che fa leva su un nettissimo binarismo di genere, sulla grassofobia mascherata da salutismo, sull’ageismo e sull’oggettificazione dei corpi femminilizzati. Il brano che dà il titolo all’EP prende in prestito anche il gergo specifico dell’allenamento nelle sue coincidenze ironiche col lessico poetico-vocale (articolazione, volume, ripetizione…). L’operazione che compio in C4MG1RL con il gergo della pornografia online è la stessa. Un primo nucleo del concept, Incel, era apparso su Inverso nel marzo 2020 grazie a Gabriele Galloni; mi stavo interessando alle comunità della manosfera, al tempo poco note al mainstream. Trump stava legiferando contro l’utilizzo di Patreon da parte delle sex worker, mascherando l’operazione come lotta allo sfruttamento. Nel frattempo esplodeva la pandemia e il lavoro sessuale, così come quello artistico, si trasferiva massicciamente sulle piattaforme digitali. Anche qui mi interessavano le intersezioni tra la lingua della pornografia e quella della poesia, due esperienze in grado di spostarsi facilmente nel “reticolo mediale” (G. Frasca).
Tu sei parte di Disturbat! Altr!, organismo multiforme legato a doppio filo col Premio Dubito – premio che peraltro hai vinto nel 2020 assieme alla Monosportiva e di cui sei al momento segretaria. Come sei entrata in contatto con l’opera di Abe? In quali direzioni vi state muovendo per tenere vivi i messaggi e solide le attitudini custodite nel suo lavoro?
Ho incontrato l’opera di Abe grazie a Zoopalco: i miei soci conoscevano già i Disturbati dalla CUiete e il Premio Dubito, e tra i primi scambi di letture tra noi è emerso il titolo Erravamo giovani stranieri, recentemente ripubblicato da Agenzia X. Avevo esattamente l’età che Alberto avrà per sempre. Tra il 2016 e il 2020 ho partecipato come autrice a quattro edizioni del Premio, prima in collaborazione con Luca Pasini, poi come Monosportiva. La vittoria è arrivata, in maniera non casuale, in corrispondenza con una presa di posizione politica più netta all’interno dei miei lavori. Oggi il Premio è curato dal collettivo Disturbat! Altr!, un organismo non gerarchico di cui fanno parte Sospè (storico producer dei DDCU), Agenzia X (Marco Philopat, Paolo Cerruto) e alcunə vincitorə delle scorse edizioni, ramificato tra Treviso, Milano, Bologna, L’Aquila, Marsiglia. All’interno del collettivo convivono diverse pratiche, generi e lotte con uno spirito punk e conviviale. Una famiglia poco tradizionale che si riunisce nello sforzo condiviso di promuovere la poesia e la musica nelle sue forme sperimentali ed emergenti fuori da logiche di mercato. In questi ultimi anni abbiamo lavorato per dare più concretezza alle riflessioni teoriche che da sempre animano il Premio: la giuria conta ogni anno un numero maggiore di donne, persone queer e persone razzializzate. Credo che questa operazione abbia generato, nella scorsa edizione, una delle finali più interessanti di questi dodici anni, con Vipera, DRIP FORTUNA, LENORE e ORA. I testi delle finaliste appaiono nell’ultima dispensa pubblicata da Agenzia X, Troppo cinici per amarci. Lo dico di nuovo: è appena uscito il bando della tredicesima edizione e non vedo l’ora di ascoltare nuovi progetti.
La carovana del Premio continua a muoversi,
sempre Disturbat! dalla CUiete.